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La Trasformazione Digitale a supporto di una ripresa veloce!

La Trasformazione Digitale a supporto di una ripresa veloce!

L’emergenza pandemica Covid-19 ha imposto un radicale cambiamento nelle abitudini di vita personali, professionali e sociali. Oggi più che mai al mondo intero viene chiesta una trasformazione digitale, della visione strategica ed un cambiamento di mentalità. Si è percepito forte il bisogno di adottare nuove metodologie di lavoro che non richiedessero la presenza fisica e costante del dipendente in ufficio, ma consentissero alle aziende di utilizzare la tecnologia per ripensare al proprio modello di business.  Le tecnologie software e in generale gli strumenti digitali e la comunicazione online, internet ed il web hanno consentito a molte attività economiche di non arrestare la corsa ma di continuare ad operare riorganizzando il lavoro in maniere digitale, ricorrendo allo smart working, all’ home working, al lavoro agile come ordinaria modalità di svolgimento delle attività. Dal settore pubblico al privato, dal mondo dall’istruzione e formazione, ai servizi assistenziali a quelli sanitari, si è data grande conferma dell’importanza del digitale nella gestione delle attività aziendali. Anche quei settori finora estranei a tali logiche come le piccole attività produttive, i piccoli imprenditoriali si sono approcciati a questi strumenti di trasformazione digitale, avvertendo la necessità di ricorrere alle aziende che si occupano di sviluppo software, di realizzazione di e-commerce, creazione di siti web, comunicazione online e di online marketing. La DasirTech crede nel valore della trasformazione digitale, supportando, attraverso strumenti digitali e servizi di comunicazione online, quelle aziende che hanno bisogno di spostare la capacità tecnologica e i loro investimenti su piattaforme digitali. È giunto il momento che le organizzazioni adottino sempre più radicalmente l’idea di una modalità di lavoro digitale. Un cambiamento rispetto al quale non si può sfuggire.

SMART WORKING: qualche approfondimento sui veri obiettivi del lavoro flessibile

SMART WORKING: qualche approfondimento sui veri obiettivi del lavoro flessibile

Smart Working è una delle parole che sicuramente avrete sentito di più in questi giorni di emergenza sanitaria legata al nuovo Coronavirus. Molti lo definiscono anche “lavoro agile” oppure “lavoro flessibile”, ciononostante la sostanza è sempre quella: lavorare da casa.  Il concetto di lavoro agile ricomprende molteplici aspetti, si passa dalla flessibilità dell’orario e del luogo della prestazione lavorativa fino a forme di welfare aziendale per facilitare i lavoratori genitori o impegnati in forme di assistenza parentale. Con tale procedura, si possono raggiungere diversi obiettivi… ma tre sono le parole chiavi: “Conciliare, innovare e competere”. Fondamentalmente, sono questi i tre diversi obiettivi dello smart working, che si configura come un nuovo approccio all’organizzazione aziendale, in cui le esigenze individuali del lavoratore si contemperano, in maniera complementare, con quelle dell’impresa. Detto ciò è chiaro che Il lavoro agile funziona solo con un’efficace pianificazione da parte del lavoratore e dell’azienda.  Ogni lavoratore deve essere organizzato e trovare in casa un angolo per una postazione di lavoro tranquilla, è pure indispensabile (e non scontata) la collaborazione del coniuge. Le aziende d’altra parte devono offrire ai dipendenti strumenti tecnologici per poter lavorare anche da remoto e accompagnare i lavoratori in questo percorso. Alla luce di tutte queste considerazioni, emerge che da un lato le aziende dovrebbero impegnarsi ad accogliere questo nuovo modello organizzativo partendo dalla formazione manageriale, per far si che i manager siano portatori e sostenitori del cambio culturale. Dall’altro i lavoratori non dovrebbero temere di rivedere e stravolgere il concetto “classico” di giornata lavorativa con orari e postazione fissa. La tecnologia oggi ci permette di lavorare dove e quando vogliamo e le aziende che vogliono ottenere il successo e la soddisfazione dei propri dipendenti, non devono sottovalutare quest’enorme potenziale.

Intelligenza artificiale VS intelligenza emotiva: contano più le competenze o i sentimenti?

Intelligenza artificiale VS intelligenza emotiva: contano più le competenze o i sentimenti?

L’evoluzione del mondo passa attraverso le idee, vero capitale della società, e attraverso la loro trasformazione in azioni concrete. Colui che sia in grado di avere un’intuizione, incanalarla e divulgarla divenendo un modello per gli altri, rappresenta il “Nuovo Eroe” dei nostri tempi, che grazie alla sua spiccata sensibilità è in grado di trasformare i problemi in soluzioni. Si discute molto su quali attività resteranno sotto il dominio umano e quali saranno delegate alle macchine grazie all’automazione. Certo è che le macchine non sono (ancora) in grado di emulare comportamenti come gestire relazioni, comprendere contesti, l’umore di una persona o provare empatia per il prossimo. Le decisioni umane sono costantemente influenzate da errori sistematici e pregiudizi irrazionali. Talvolta possono subentrare emozioni profonde e incontrollabili; è quindi compito di ogni azienda focalizzarsi sullo sviluppo delle soft skills dei propri dipendenti, nessuno escluso, per limitare situazioni negative ed i livelli di stress in contesti aziendali talvolta imprevedibili. Le skills “trasversali” di natura cognitivo-relazionale e comunicativa sono i cardini per orientare le persone verso un risultato efficiente ed efficace. Avere la capacità di accedere alla sfera emotiva della persona che si ha di fronte ed “entrare nei panni dell’altro” aiuta a gestire le obiezioni a favore delle relazioni stesse. Per tale motivo, prima di vagliare progetti di cambiamento organizzativo investendo in software d’avanguardia e in nuove tecnologie, è interesse delle aziende investire in quelle competenze più autentiche ed inimitabili dei propri dipendenti. Vita tua, vita mea. Perdere qualcosa ci fa stare male il doppio rispetto all'ottenere qualcos'altro, per questo siamo avversi al rischio. Con dei piccoli incoraggiamenti, spinte gentili che possono essere ad esempio ridurre il numero di scelte o cambiare l'ordine di alcune opzioni, possiamo quindi influenzare positivamente il comportamento di chi ci circonda. Portandole a compiere le decisioni migliori, orientiamo in primis noi stessi verso la soluzione vincente!

Il team working: come si crea un gruppo di successo

Il team working: come si crea un gruppo di successo

Negli ultimi anni, si sta diffondendo sempre di più nelle aziende l’idea di valorizzare le persone, organizzando attività formative costanti. Lo scopo principale è quello di sviluppare e rafforzare le relazioni tra i membri di un team e migliorare, così, la qualità del lavoro. Gli ingredienti fondamentali per creare un team di successo sono: L’analisi delle competenze. Il primo passo da seguire è la profilazione dei membri del team, che prevede un’analisi primaria delle hard skills e, soprattutto, delle soft skills. Nonostante la difficoltà nel misurarle, le soft skills ricoprono un ruolo di fondamentale importanza e tra queste le più rilevanti sono quelle relative alle capacità relazionali, comunicative e di problem solving; La condivisione. Quest’ultima è immediatamente successiva alla profilazione poiché tutti i membri della squadra e il team leader devono conoscere i punti di forza e di debolezza dei colleghi. Grazie alla condivisione, ogni membro può dare il meglio di se in determinate aree e può, invece, contare sull’esperienza e le qualità degli altri per quello su cui può migliorare; La sintonia. Dopo aver messo insieme le risorse che, secondo l’analisi dei profili, possono lavorare bene insieme, tra queste deve scattare quella che viene semplicemente definita sintonia. Si arriva, quindi, ad accettare il collega per le sue capacità e a mettere in atto le proprie, con la consapevolezza di essere importanti per il team. Infine, la buona riuscita di un team risiede nella figura del leader. Quest’ultimo deve avere un buon background per assegnare compiti e responsabilità in modo del tutto oggettivo, deve essere in grado di gestire il gruppo in tutte le situazioni e dosare, di conseguenza, la propria leadership. Deve comprendere i momenti che la squadra sta affrontando e le diverse persone con cui opera, per trovare sempre la soluzione migliore. In conclusione, per un team di successo è fondamentale ascoltare le opinioni, i suggerimenti e le idee dei membri del team, portando ognuno di loro alla percezione concreta di non essere soli nel momento del bisogno e che tutti sono singoli pezzi di un unico puzzle.

CBL apprendere per innovare

CBL apprendere per innovare

Spesso ci troviamo a cercare idee geniali, pensando direttamente alla soluzione tecnica prima ancora di aver identificato il problema da risolvere. Esiste un approccio didattico multidisciplinare noto come CBL (Challenge-based learning), basato su un framework collaborativo e su momenti di brainstorming che, adottando  principi flessibili ma fondamentali, guida step by step, nell'identificazione del problema da gestire. Si parte dall'identificazione delle “Grandi Idee”, si fanno “Domande” e si “Scoprono e Risolvono le Sfide”. Più precisamente: La big idea: non è l'idea geniale che cerchiamo, bensì l'ambito in cui cercare quell'idea. Esempi di big idea possono essere la musica, lo sport, i viaggi o qualsiasi altra tematica di nostro interesse. Le essential questions: sono domande che dobbiamo porci riguardo l'ambito scelto. Se ad esempio la nostra big idea è la ristorazione, un'essential question potrebbe essere "Come posso migliorare l'esperienza del cliente che frequenta pub, ristoranti o pizzerie?". Sono quindi domande generiche che puntano ad aprire quanti più scenari possibili su cui indagare. La challenge: è la sfida che ci poniamo per risolvere una problematica. In questa fase è molto importante non concentrarsi ancora sul come risolverla, ma esclusivamente su cosa risolvere. Ad esempio se consideriamo l'essential question precedente, una possibile challenge potrebbe essere "Ridurre i tempi di attesa dei clienti in fila per entrare in un luogo di ristorazione". Investigation: l'obiettivo è trovare quante più informazioni possibili sulla challenge che abbiamo scelto. È molto importante conoscere meglio i nostri ipotetici utenti proponendo sondaggi che ci aiuteranno nella scelta della soluzione e del target a cui sarà rivolto il nostro prodotto. In questa fase non rientrano ancora domande tecniche, riguardanti ad esempio la tecnologia con cui implementeremo la soluzione. Soluzione e implementazione: se il processo è stato effettuato in modo corretto, si arriva in questa fase con più di una soluzione. E' possibile quindi sceglierne una o fare un merge per poi procedere con la scelta delle tecnologie da usare per l'implementazione. Dunque l'apprendimento basato sulla sfida si basa sul caposaldo delle idee innovative e aiuta ad acquisire le competenze necessarie per migliorarsi continuamente in un mondo in costante evoluzione.  

Il business plan: vantaggi e limiti

Il business plan: vantaggi e limiti

Il business plan è lo strumento per comprendere quali strategie, decisioni, risorse ed obiettivi devono essere implementati e perseguiti dall’iniziativa imprenditoriale. Attraverso la definizione di un business plan si ottiene una visione integrata della propria azienda o del proprio progetto imprenditoriale. In un unico documento, infatti, devono essere sintetizzate tutte le informazioni fondamentali: la strategia, i prodotti, la tecnologia, il mercato, i concorrenti, le risorse umane e gli aspetti economico-finanziari. Con il business plan è possibile tenere traccia di ciò che deve accadere, monitorare date e scadenze, delegare chiarendo chi è responsabile e di che cosa, tenere d’occhio i risultati, pianificare e gestire il flusso di cassa, correggere eventuali rotte errate o poco produttive. È pertanto facilmente comprensibile perché siano molti i vantaggi derivanti da tale documento che un buon manager non dovrebbe trascurare. Nonostante l’importanza che assume per la pianificazione e la gestione aziendale, il business plan è oggi sottoposto ad un velato scetticismo e talora ad aperte critiche. Tra i principali limiti, vi è la mancata capacità di valutare l’incertezza e la “curva delle probabilità” sui risultati. Avvalersi, quindi, di un business plan non significa avere garanzie certe sul raggiungimento degli obiettivi in esso indicati. In conclusione, per migliorare la metodologia di predisposizione del business plan bisogna partire dalla consapevolezza che fare business, nella sua essenza più profonda, comporta sempre e comunque un’assunzione di rischio che nessuno strumento di pianificazione strategica può eliminare.

I miti manageriali che frenano la rivoluzione digitale

I miti manageriali che frenano la rivoluzione digitale

Si parla sempre più spesso di rivoluzione digitale, ma sono tanti i miti da sfatare per ottimizzare il binomio uomo-tecnologia. Da solo l’hi-tech non basta per rivoluzionare il sistema aziendale, serve soprattutto una cultura organizzativa che sia compatibile con le potenzialità che ci offre la tecnologia. Le risorse umane e quelle tecnologiche spesso non obbediscono a logiche omogenee tra loro. Gli ostacoli che le imprese incontrano in questo fondamentale percorso di sincronizzazione uomo-macchina sono molti. Quelli che appaiono più difficili da sradicare, risiedono in tre grandi miti da sfatare:   Meglio soli che male accompagnati. In molti contesti aziendali è ancora radicato il concetto che accentrare la gestione delle attività, sia la strategia migliore per arrivare il prima possibile all’obiettivo. L’evidenza però dimostra che senza una cultura organizzativa predisposta alla collaborazione uomo-tecnologia, le potenzialità del digitale restano inespresse. Il rischio è basarsi su un approccio obsoleto che allontana dalle logiche di mercato più evolute.   Chi sbaglia paga. Information technology significa, per lo più, procedure dettate dall’alto che non ammettono indecisioni o variazioni. Aprirsi alla cultura digitale significa accettare il rischio dell’errore e orientare i colleghi all’avventura della sperimentazione. Nel grande campo della rivoluzione digitale siamo tutti inesperti. Più che tollerare gli errori dei collaboratori dovremmo spingerli a sbagliare e aiutarli a capire come non farlo più.   Divertirsi sul lavoro è inaccettabile. “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai nemmeno un giorno in vita tua”. L’ hi-tech contente alle aziende che sposano tale approccio innovativo, di lavorare divertendosi. In assenza, ci si trova a scontrarsi con vecchie routine operative che costringono a una noiosa ripetitività̀, riducendo notevolmente la produttività. In conclusione senza una corretta predisposizione collaborativa e orientata al cambiamento, anche la migliore infrastruttura tecnologica serve a poco.

Smart working: la nuova era della flessibilità aziendale

Smart working: la nuova era della flessibilità aziendale

Lo Smart Working è un fenomeno che negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo nelle aziende italiane. Infatti, oltre la metà delle aziende medio grandi ha già lanciato iniziative in tal senso o sta per farlo. Olanda ed Inghilterra sono in Europa i paesi pionieri anche se la percentuale più alta di lavoratori in tale modalità si registra ancora negli USA. Capire il significato dello smart working non è così immediato. Si tratta di una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. E’ un modello organizzativo che interviene nel rapporto tra individuo ed azienda, rimuovendo vincoli legati a concetti di postazione fissa, open space e ufficio singolo. Esso si innesca in un percorso di profondo cambiamento culturale ed evoluzione dei modelli organizzativi aziendali che presuppone una governance integrata tra gli attori coinvolti. La legge n. 81\17 in Italia regolamenta il rapporto di lavoro definito appunto come smart working o lavoro agile; essa garantisce agli smart workers lo stesso trattamento rispetto ai lavoratori tradizionali sia a livello di compenso che di tempistica contrattuale. Lo smart worker diventa un collaboratore a distanza che, grazie alla tecnologia 2.0, è in grado di svolgere i suoi compiti fuori dal classico ufficio. Enormi sono i vantaggi di questa nuova modalità: sul piano lavorativo porta ad una riduzione del cartaceo, riduce gli spazi, aumenta la produttività, minimizza l’antagonismo favorendo la produttività e la salvaguardia dell’ambiente. Sul piano personale, invece, riduce gli spostamenti, migliora la qualità della vita restituendo del tempo libero e riducendo lo stress dovuto alla congestione urbana. Solo un uso scellerato di strumenti e comportamenti può rappresentare uno svantaggio. Smart Working, quindi, significa promuovere un lavoro fondato sui concetti cardine di flessibilità, ma soprattutto fiducia, pilastro fondamentale su cui poggia il rapporto tra datore di lavoro e dipendente.

La figura del Project Manager. Ecco chi è e come diventarlo.

La figura del Project Manager. Ecco chi è e come diventarlo.

Chi è il Project Manager? Di cosa si occupa nello specifico? Partiamo innanzitutto dalla definizione. Letteralmente il Project Manager è il responsabile del progetto, un’importante figura che si cela dietro la realizzazione dello stesso. Il ruolo del Project Manager (abbreviato con PM) è una figura professionale che in realtà nel nostro paese, ufficialmente, esiste da poco più di un decennio. Più precisamente è una professione riconosciuta solamente dal 2013 con la legge 04/2013. La società Hunters Group inserisce il Project Manager fra le dieci professioni più richieste nel 2018 e sottolinea che le offerte in Italia provengono soprattutto da medie e grandi imprese che si occupano di sviluppare progetti per clienti internazionali. Secondo il Project Management Institute (PMI), nei prossimi dieci anni la domanda di Project Manager qualificati da parte delle imprese aumenterà del 33% con 22 milioni di nuovi posti di lavoro in tutto il mondo. Se si volesse definire il Project Manager in poche semplici parole si potrebbero usare queste: pianificazione, supervisione e conoscenza. Il Project Manager è presente in molti settori produttivi, sia come consulente freelance che all’interno delle aziende, in tutte le divisioni. In particolare nel mondo ICT, tra gestione di infrastrutture informatiche e sviluppo di applicazioni web e mobile, le occupazioni del Project Manager vanno dalle attività di back office (compresa la reportistica tecnica) alle mansioni più commerciali quali incontri, presentazioni, preventivi e valutazione di nuove opportunità. Fra le soft skills, si domanda una buona capacità di comunicazione. Un Project Manager di successo utilizza circa il 90% del tempo per comunicare. È quindi importante conoscere i passi necessari per impostare una comunicazione efficace sul progetto ed essere, allo stesso tempo, consapevoli dei maggiori ostacoli che potrebbero presentarsi lungo il percorso. Il Project Manager, in sintesi, deve possedere un modus operandi orientato al raggiungimento dell'obiettivo, ragion per cui l'attenzione non si deve limitare all'immediato ma deve proiettarsi sempre al futuro.

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